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Home > Padrongianus > Parco fluviale > Età storica > Una landa desolata di malaria e pirati

Il Padrongianus tra malaria e pirati

Olbia si trova in una piana alluvionale, la principale della Gallura, terra di solito collinare, spesso rocciosa e povera di suoli. Dai monti che circondano la città convergono fiumi e corsi d'acqua, che sfociano nella lunga “rias” di Olbia, dove ora si trova il porto, l'approdo sardo più vicino all'Italia peninsulare. L'area urbana è sul lato centro-orientale di questa piana, segnata a sud e a sudovest dal Padrongianus e dai suoi affluenti, che costituiscono una presenza importante nel territorio dell'agro olbiese, per il loro contributo alla fertilità di questa terra. Territorio caratterizzato, però, soprattutto verso il mare, da paludi e acque stagnanti, segnate in altri periodi dalla malaria.

Il Fiume Padrongianus in autunno

Con i decenni di guerra tra aragonesi e sardi nel corso del XIV secolo, il territorio sembra essere particolarmente tartassato. Se si considerano anche i passaggi della peste, l'Europa intera, ma la Sardegna in modo particolare, ne esce davvero malconcia, con decine di paesi e villaggi scomparsi dalle mappe in pochi anni. Gli aragonesi introducono il feudalesimo in Sardegna: i giudicati terminano di dissolversi e il territorio sardo è spartito in numerosi feudi. L'originario territorio gallurese viene smembrato e il nome di Gallura resta solo alla parte superiore dell'originario Giudicato, dalla zona dell'attuale Loiri-Porto San Paolo andando verso nord.
Civita smette di essere diocesi autonoma e viene unificata con quella di Ampurias (vicino Castelsardo) nel 1506. Nel 1510, essendo deceduto per primo il vescovo di Olbia, la sede della nuova diocesi Civita-Ampurias si sposta a Castelsardo. 

Nel 1553 il corsaro ottomano Dragut, che vagava per il Mediterraneo saccheggiando e devastando porti, passa per Terranova, con le dovute conseguenze: città semidiroccata e abbandonata da quasi tutti. In quegli anni si cerca di proteggere il territorio, istituendo e rinforzando i sistemi di sorveglianza costiera.
Dopo la distruzione, il podestà di Terranova recluta miliziani per fare la guardia, giorno e notte, ai punti chiave del territorio. Tra le zone di vedetta: il porto di Congianu, quello di Baladruna e le rive del Padrongianus (Argiolas e Mattone 1996: 223, che citano un documento dell'Archivio di Stato di Cagliari, datato 9 ottobre 1554).
Il capitano di Iglesias Marco Antonio Camos (Pillosu 1959) circumnaviga l'isola dal 1572 al 1573, per ordine del viceré di Sardegna Juan Coloma, con l'obiettivo di proporre un sistema di sorveglianza munito di torri, di cui allora l'isola era quasi del tutto sguarnita, in particolare la costa nord orientale sarda. Delle 132 parti in cui è divisa la costa sarda nella relazione di Camos, quelle di nostro interesse sono: 101 - Terranova, 102 - Rio de Praduot Fanu (sic), 103 – Cabo Cariossa. Da cui si conferma che la foce del fiume era vista come punto chiave del territorio.
Si segnala il toponimo Lu tragghjettu di li tulchi (il guado dei turchi) alla confluenza del Rio di La Castagna col Padrongianus (Brandanu 1999: 288), proprio al confine sud del parco. Il nome potrebbe essere legato al passaggio dei "turchi", che, come vediamo dalla rilevanza data in quegli anni al fiume come punto di guardia, dovevano essere ospiti frequenti della zona.
Il territorio gallurese ora ci appare come è rimasto nei secoli successivi, fino all'Ottocento: la costa è una landa disabitata, malarica e frequentata dai "turchi"; Olbia ridotta a poche centinaia di abitanti; le comunità costiere abbandonate e andate in rovina; i pochi abitanti rimanenti rifugiati sui monti attorno a Tempio. Sono pastori transumanti e si muovono con il bestiame per tutto il territorio, magari scendendo alle "marine" in inverno, per poi risalire a "casa" tra i pascoli del Limbara con l'arrivo della stagione malarica.

Una descrizione efficace del territorio gallurese arriva dal primo trattato geografico sistematico della storia sarda: il De chorographia Sardiniae del sassarese Giovan Francesco Fara. Siamo nel 1580. Qui, contrariamente all'uso attuale, per Padrongianus si intende l'affluente meridionale (Riu di la Lana) e non quello settentrionale:
Il rio Siala, nato nella località comunemente detta “Quaranta boes”, del territorio di Monti, scorre presso Castel Pedreso, dove s’ingrossa d’un altro rio detto di S. Simeone, che dal Limbara discende attraverso la valle di Trabi al Siala, dove insieme si gettano nel fiume Padrogiano, che scendendo già dai monti di Alà, di Orgara e di Orrenaventura presso i villaggi distrutti di Orfili e di Lorrai, arriva nella pianura di Padrogiano e sbocca in mare non lontano dall’imboccatura del porto di Terranova. (Fara 1975: 80)

Note sul territorio olbiese e la sua desolazione:
Il territorio circostante è pianeggiante e fertile e conserva resti famosi della sua antichità. Sparsi qua e là vi si vedono infatti antiche colonne di edifici, epistili, pietre tagliate e squadrate, e anche un acquedotto, che dalla sorgente di S. Maria di Cabuabbas, dove si trova una piccola torre, una volta portava, lungo un percorso di tre miglia, acqua in abbondanza alla città. Non lontano da essa [Olbia?] si trovano altresì le saline, le cui acque non diventano tutte sale, e il fiume Padrogiano, ricco di anguille, trote e mitili (ibid: 160).

Un fiume ricco, una natura lussureggiante quella della diocesi di Civita, cioè della Gallura:
Perciò le popolazioni suddette, che sono rimaste in quella diocesi, hanno un territorio libero in lungo e in largo, bagnato da sorgenti e corsi d’acqua, con boschi ghiandiferi, per la cui estensione, pastura e caccia supera gli altri. Molti praticano la pastorizia, e con tutta la famiglia conducono una vita agreste sui monti. Lì pascolano mille greggi e altrettante mandrie, fanno un ottimo formaggio, e ingrassano i maiali, da cui ricavano ottimi salami imbottiti, prosciutti e salsicce” (ibid: 161-2)
 

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