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Quando il Padrongianus si chiamava Olbio

Fiume Padrongianus

28 luglio 2014

Anche il nostro Rio Padrongianus, che sembra muoversi con i ritmi apparentemente lenti e immutabili della natura, è cambiato nel tempo.
Ai primi dell'Ottocento, per esempio, il suo tratto terminale, proprio quello interno al Parco, seguiva un corso diverso. Poco oltre il punto in cui Padrongianus e Rio di La Castagna confluiscono, cioè proprio al confine sud-ovest del Parco, il fiume tornava a dividersi in due tronconi che marcavano un largo delta, esteso suppergiù tra l'attuale estuario e la zona delle Saline.
Volendo tracciare un collegamento con il presente, non è da escludere che l'ondata di piena dello scorso novembre, sfondando gli argini eretti nel Novecento, si sia fatta strada proprio sull'originale percorso naturale "biforcato" del fiume, che passa, almeno in parte, sull'attuale superficie del Parco. Alluvioni e piene che erano e sono naturali per il fiume, anche nell’Ottocento erano note per la loro imprevedibilità, che causava notevoli perdite di bestiame tra gli allevatori del posto.

Per venire ad argomenti più piacevoli, del fiume erano molto apprezzate le trote. Le anguille, invece, risultavano inspiegabilmente "dannose allo stomaco".
Queste informazioni ce le ha fornite Vittorio Angius (1797-1862), sacerdote e intellettuale cagliaritano. L'Angius fu invitato a collaborare alla stesura delle voci sarde nel monumentale “Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna", pubblicato in Piemonte tra il 1833 e il 1856 a cura di Goffredo Casalis (1781-1856).
L’opera minuziosa dell’Angius ci dà un quadro dettagliato della vita in Sardegna nel corso della prima metà dell’Ottocento. Nello specifico, per compilare le voci dell'allora provincia di Gallura, l'autore visitò il territorio gallurese nel periodo 1837-38.

Cos'altro scopriamo del Padrongianus frugando tra le voci "Gallura" e "Terranova" (nome di Olbia per alcuni secoli) del dizionario? Per esempio, che il fiume era all'epoca noto come "Olbio" od "Olbiano”, mentre il nome "Padru Oianu" era usato per il territorio su cui passava il corso d'acqua.
Proprio ai detriti portati dal fiume, l'Angius dava la colpa dei banchi che ostruivano da più secoli il porto di Terranova. L'autore proponeva, in anticipo sulle opere di arginamento e bonifica del XX secolo, la creazione di un canale alla foce, che consentisse lo sfogo delle acque in mare aperto.
Dalla penna dell'Angius veniamo anche a sapere che non esisteva ponte per l'attraversamento del fiume. Come peraltro non ne esistevano, a quanto pare, in tutto il territorio gallurese.
Una terra, in quegli anni, fondamentalmente abbandonata. Abbandono temporaneo però, come testimoniavano, segnalati dallo stesso Angius, i resti di villaggi medievali, proprio attorno al nostro fiume, nella piana dove confluiva il rio di La Castagna nel Padrongianus. Il territorio era, infatti, punteggiato dai resti di varie chiese: quella di San Michele (ora nota anche come Sant'Angelo) e nelle vicinanze Santa Margarita, San Paolo e San Marco, queste ultime ora non più visibili.

Abbandoni e decadenze, quelli di Olbia e del suo agro, magari lunghi di secoli, ma poi recuperati nel progredire ciclico della storia: come testimonia la rinascita di Olbia a partire dal XX secolo, iniziata proprio con i lavori di ripristino del porto e di bonifica dell'agro, continuata poi con gli sviluppi turistici noti a tutti. Rinascita di cui, a distanza di un secolo dalle prime opere, anche il Parco è un piccolo ma significativo simbolo.

NOTA - Per la stesura di quest'articolo ci si è appoggiati alla recente edizione critica di Luciano Carta del testo: Angius Vittorio. 2006 [1833-1856]. Città e villaggi della Sardegna dell’Ottocento (voll.1-3). Nuoro: Ilisso.

(CS Costantino Pes - Alea Ricerca & Ambiente)

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