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Inferno e Paradiso

Foto aerea Area Parco fluviale del Padrongianus (foto G.Pendugiu)

23 settembre 2014

Al giorno d’oggi, il Parco fluviale del Padrongianus appare come un angolo di calma, un posto di pace dove rilassarsi, allontanarsi dalle preoccupazioni del lavoro e dalle tensioni della città. Uno dei molti angoli di paradiso che quest’isola può offrire.

Proviamo, però, a fare un salto indietro di alcuni decenni. Il territorio rimane lo stesso, ma cambia radicalmente l’atmosfera e la situazione. Osserviamo, per esempio, gli anni della seconda guerra mondiale, che hanno colpito anche questa zona, apparentemente così isolata.
I primi decenni del Novecento avevano visto alcuni sviluppi fondamentali per una rinascita di Olbia (Terranova fino al 1939). Se da un lato i lavori di ripristino del porto avevano consentito una ripresa del ruolo olbiese di approdo sardo più vicino alla penisola, contemporaneamente si portavano avanti le opere per rendere meno ostili all’uomo i dintorni dell’abitato: diverse aree paludose (quindi malariche) della campagna erano state prosciugate e interrate, mentre vari corsi d’acqua erano stati canalizzati e arginati. Proprio a sud di Olbia, tra Padrongianus e Spirito Santo, si impiantavano alcune aziende agricole, a volte dotate di sistemi d’irrigazione che prendevano l’acqua dolce proprio dal fiume.

Si pensi all’attuale centro servizi del Parco. Il visitatore attento avrà notato i resti di una diga distrutta proprio a ridosso dell’edificio, con un grosso pozzo in cemento subito a monte della diga. Si trattava, a memoria di alcuni anziani che ci hanno fatto visita, di un impianto d’irrigazione, che portava acqua ad alcune aziende agricole situate più a est, in direzione dell’attuale Lido del Sole.
Lo stesso edificio del centro servizi è stato ricostruito recentemente sulle fondamenta di una struttura che ospitava in origine una centralina per il controllo del sistema d’irrigazione. Il muro dell’argine, che segna i confini meridionali del Parco, era stato costruito in quegli anni per controllare le piene, notoriamente impetuose, del fiume. Negli anni ’30-’40 il territorio appariva quindi già diverso dalle lande semi-spopolate del secolo precedente. Non lontano si trovava l’aeroporto e base meteorologica di Vena Fiorita.

La guerra intervenne a spezzare per alcuni anni questo processo di recupero del territorio. Lunghe trincee e fosse furono scavate proprio sui campi del Padrongianus, Per ostacolare una prevista invasione da mare, che poi non si sarebbe verificata. La città, a causa del suo porto e dell’aeroporto militare, cominciò a essere sottoposta a bombardamenti sistematici da parte di inglesi e americani. Pare che la contraerea tedesca si trovasse dove ora è costruito il centro commerciale Auchan. Gli aerei che bombardavano, nei loro spostamenti tra aeroporto e zona portuale, passavano proprio sopra il fiume.
Le poche famiglie di pastori e agricoltori che abitavano la zona si trovavano quindi in condizioni di pericolo e paura costante. I bambini, che andavano alla scuola elementare di Multa Maria, tutti i giorni dovevano scavalcare fossi e difese, magari rinforzate col filo spinato. Se passavano aerei da guerra dovevano affrettarsi a nascondersi dove potevano. Per non parlare della fame e della scarsità di viveri, causata dalle interrotte comunicazioni via mare.

Dopo l’8 settembre 1943, cui seguì la ritirata delle truppe tedesche dall’isola, in termini di conflitto bellico la Sardegna si sarebbe trovata in condizioni più favorevoli di altre parti d’Italia e d’Europa.
Restò, comunque, per alcuni anni, l’isolamento, quindi la grande penuria di beni, per non parlare dei gravi danni infrastrutturali subiti nei primi anni di guerra. Non è difficile immaginare in quale scenario giocassero i bambini di quegli anni, anche al Padrongianus, tra campi incolti, edifici danneggiati, fossati e filo spinato, con il rischio di poggiare il piede su qualche mina e saltare in aria. Scenario che sarebbe rimasto simile nei pacifici ma difficilissimi anni del primo dopoguerra. Le attività agricole al Padrongianus continuarono, seppure con le difficoltà, tra fine anni ’50 e primi ’60, di alcune alluvioni che causarono ingenti danni, come dimostra la diga nel Parco, spezzata dal fiume nel corso delle piene di quel periodo.

Al Parco, di quegli anni restano le tracce che abbiamo raccontato. A ricordo, sbiadito ma ancora leggibile, di periodi vicini nel tempo, ma lontanissimi come modi di vita ed esperienze.

NOTA: per la scrittura di questi appunti ci si è appoggiati alle testimonianze orali di alcuni anziani in visita al Parco e alle memorie di gioventù raccolte in Nato all’inferno da Mario Gregu (Milano: Salani, 2011), che in quegli anni abitava al Padrongianus.

(Costantino Pes - Alea Ricerca & Ambiente)
 

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