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Alberi alieni sul fiume?

Tiro con l'arco in mezzo ai lecci del Parco fluviale del Padrongianus

25 agosto 2014

Quando ci s’inoltra nel Parco, lasciata l’auto al parcheggio, la prima cosa che appare sono alcuni giochi per bambini immersi tra i lecci.
A un primo sguardo si capisce che le piante sono giovani (15-20 anni). La disposizione a filari regolari mostra che si tratta di un impianto artificiale, risalente al primo progetto di creazione di un parco, ai tempi in cui la zona apparteneva alla Provincia di Sassari. Progetto all’epoca non compiutosi, ma dal cui impianto si è sviluppato anni dopo il parco attuale.
Inoltrandosi lungo il fiume, si nota la presenza di altri filari di lecci, probabilmente disposti con l’obiettivo di creare una zona d’ombra continua sul lastricato che cammina lungo una riva del Padrongianus.

È interessante notare che il Leccio (Quercus ilex) non è del tutto adatto ai terreni del Padrongianus, forse eccessivamente sabbiosi e comunque soggetti alla salinità marina, almeno nel tratto finale, dove si trova anche il Parco.
La vocazione naturale di questo tipo di terreno è data, per esempio, dalle numerose tamerici e dai giunchi, che spuntano dove possono, anche tra i lecci, soprattutto dopo l’onda di piena di novembre scorso, che ha portato con sé detriti, sabbie fluviali e numerosi semi. Lo stesso leccio sembra a volte manifestare una certa riottosità ad adattarsi alla zona, con improvvise seccaggini delle piante, soprattutto in vicinanza della riva.

Allora perché il Leccio? Premesso che le motivazioni della piantumazione originale non ci sono note, è utile prendere spunto da questo caso per ragionare su una pianta che riveste, come vedremo, un profondo significato per la Sardegna.
Si può dire che il Leccio, anche detto, con termine un po’ più arcaicheggiante, Elce, rappresenti l’albero principe delle foreste mediterranee, come ampiezza e maestosità. Presumibilmente, se non ci fosse intervento umano, diverse aree affacciate sul mare, dalla Sardegna all’Algeria, dalla Spagna e Francia alla Grecia, sarebbero caratterizzate da foresta a lecceto.
Quercia sempreverde a crescita lenta, può arrivare, una volta adulta, ai 25-30 metri di altezza e letteralmente “dominare” il terreno in cui vive, dato che la crescita del sottobosco e della macchia tende a essere limitata.
L’albero maturo emana un senso di mistero, antichità e potenza che doveva essere avvertito anche dagli antichi galluresi, come si nota nell’uso antico di tenere sotto una quercia secolare le riunioni di un antico sistema processuale locale, detto rasgioni.
Nella memoria orale sarda, poi, si trasmette la visione arcadica di un’isola anticamente ricca di foreste, soprattutto di leccio (la liccia in gallurese, s’èlighe in logudorese, s’ìlixi in campidanese). Patrimonio poi depauperato a partire dalla metà dell’800 con l’arrivo di taglialegna e carbonai dall’Italia centro-settentrionale.
Sebbene recenti studi dimostrino come lo stato delle foreste sarde non fosse idealmente florido neanche in passato, certo lo sfruttamento degli ultimi due secoli, peraltro continuato dalla popolazione rurale, normalmente dedita alla produzione di carbone fino a una cinquantina d’anni fa, deve avere avuto il suo peso sulle attuali condizioni della foresta sarda. Alcuni studiosi, inoltre, assegnano al disboscamento delle zone a monte la responsabilità di una maggiore disfunzionalità del regime isolano delle acque, con conseguente aumento di aree paludose verso mare e recrudescenza della malaria nell’isola. Condizione che ha interessato in modo particolare le campagne olbiesi, quindi anche le zone attorno alla foce del Padrongianus.
Questo insieme di vicende e idee, tra storia e valori simbolici, potrebbe avere influito sull’idea di rimboschire la riva del fiume a lecceto. Un più che legittimo desiderio di contribuire a ripopolare l’isola con un’essenza arborea così tipica. E poi, mettendo per un attimo da parte le riflessioni sulla naturalità nella presenza del leccio in questa zona, si osserva come, proprio nell’area del parco giochi, forse perché più distante dalle rive del fiume, le piante stiano in buona parte riuscendo ad attecchire. E se già ora, con alberi ancora giovani, si comincia a godere della loro ombra, tra venti-trenta anni esisterà lì un vero e proprio boschetto, a dare ristoro e frescura, anche in estate, ai visitatori. Con i bambini, chissà, a scorrazzare nelle piccole radure con altalene e scivoli, circondati dall’ombra dei lecci adulti.

(CS Costantino Pes - Alea Ricerca&Ambiente)
 

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