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Prato all'inglese o prato alla...sarda?

Erba

12 agosto 2014

Ogni tanto succede che qualche visitatore si presenti al Centro Servizi del Parco fluviale del Padrongianus con una domanda: "Bello il posto, ma non potreste curarlo di più, magari con un bel prato, tenuto sempre verde, anche in estate, giardini più curati...?".
Queste parole svelano una visione dei parchi pubblici che risponde ad estetiche ed esigenze tipicamente urbane/cittadine: un parco deve essere pulito, sicuro, fornire dei servizi. E fin qui l'impegno degli operatori al Padrongianus è costante. Dovrebbe essere, però, anche un giardino verde, magari in stile inglese, con un prato ben curato.
Sorge dunque il dubbio: è lecito e necessario che in Sardegna, terra povera di risorse idriche, soprattutto in estate, si curi un prato verde, magari su terreni estesi, come un parco pubblico o un campo da golf?
Dare un'occhiata alla storia dell’idea di prato può aiutare a inquadrare meglio il problema.
Innanzitutto, la tipologia di manto erboso che diversi visitatori vorrebbero, non è quella generica, poiché con “prato” s’intende un "terreno ricoperto da erbe, spontanee o coltivate per foraggio" (dizionario Sabatini Coletti), cioè un terreno che ha originariamente un utilizzo pratico, quello di pascolo per il bestiame.
La tipologia richiesta da vari visitatori è, invece, quella del "prato rasato", magari nella sua accezione più nota del "prato all'inglese". Sembrerebbe, infatti, che il piacere di camminare nel tempo libero su uno strato d’erba ben curato risalga proprio alla nobiltà nord-europea del tardo Medioevo.
Originariamente, poi, quel certo tipo di prato, che cresce, per ragioni climatiche, con maggiore facilità in quei territori, non era che un manto erboso tenuto basso col pascolo del bestiame. Solo in seguito sarebbe stato creato e curato esclusivamente per il piacere dell'uomo, con mezzi sempre più complessi e impegnativi. Da lusso per nobili, poi, si sarebbe esteso anche alle classi medie urbanizzate. Lo stereotipo moderno del cittadino medio inglese e statunitense è proprio quello dell'uomo col tagliaerba nel curatissimo giardinetto di casa.
Questo stereotipo/modello si è diffuso dal Dopoguerra in poi anche in Europa meridionale, quindi anche in Italia, nonostante climi e geografie diversi. La Sardegna, ad esempio, è caratterizzata da consistenti aridità estive.
È innegabile: il prato rasato, comodo, fresco, gradevole alla vista, piace a tutti. Ma che costo ambientale (ed economico) ha su un territorio come quello sardo, soprattutto nella stagione estiva, in cui l’isola è più frequentata?
Tra irrigazione, fertilizzanti, insetticidi, mezzi per il taglio... dove va a finire la sostenibilità?
E che scelta può essere adatta a un Parco come il nostro, che aspira ad una gestione in cui educazione ambientale e benessere/tempo libero si combinano armonicamente?
Certo, un prato all'inglese potrebbe conciliarsi male con questa visione. Un approccio più sostenibile dal punto di vista ecologico, che poi è quello che si tenta al Parco, può essere quello di evitare l’irrigazione artificiale e tenere basso con gli sfalci il livello delle erbe spontanee, magari limitandosi a sradicare le più fastidiose per l'uomo, come i cardi. Si ottiene così un bel prato alla… sarda: naturalmente verde 8-9 mesi l’anno e, altrettanto naturalmente, di un bel giallo dorato nel periodo più caldo.
Con la speranza, se non di essere di esempio, di fornire, almeno, qualche spunto di riflessione ai visitatori.

NOTA: Alcune informazioni di quest'articolo sono prese dalle voci "Lawn" della versione inglese del sito www.wikipedia.org, e da quella "Prato rasato" della versione italiana.


(CS Costantino Pes  -  Alea Ricerca & Ambiente)

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